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Scrivi ad Alberto Ceppi


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S.E. Card. Gianfranco Ravasi

Dalla presentazione in catalogo della Mostra "Maranathà", Santuario Madonna di Loreto – Osnago 1989


« “Per me un quadro deve fare scintille. Deve abbagliare come la bellezza di una donna o di una poesia. Deve emettere raggi come le selci che i pastori dei Pirenei usano per accendere le loro pipe.” Con queste parole il famoso pittore surrealista ed astratto spagnolo Joan Mirò nella sua autobiografia artistica Lavoro come un giardiniere ha tentato di definire quella sensazione “ineffabile” che si prova davanti ad una vera opera d'arte. Un bagliore che illumina la mente, una scintilla che attraversa l'occhio e corre diritta al cervello per esplodere nello spirito. E non solo nello spirito di un critico d'arte o di un altro artista ma nello spirito di ogni persona che sa mettersi in “contemplazione”: è suggestivo che nella lingua della Bibbia il verbo ebraico usato per indicare il “contemplare” significhi letteralmente “scavare”, “perforare”. La scintilla si accende in tutti coloro che sanno, nella contemplazione dell'opera d'arte, scavare oltre l'immediato alla ricerca di quel seme d'infinito che è la creazione artistica.

Noi scriviamo appunto queste note non perché siamo critici o colleghi d'arte ma solo perché davanti alle opere di Alberto Ceppi abbiamo sperimentato la sorpresa di quel bagliore, di quella misteriosa scintilla e vorremmo che altri vivessero la stessa esperienza. La vivessero magari attraverso l'itinerario suggerito dallo stesso autore in questa mostra che è una specie di confessione in pubblico, una vera e propria autobiografia di un uomo, artista, credente. Noi preferiamo interpretare questo itinerario personale come una parabola che, invece delle parole, si affida alle sculture, alle vetrate, ai mosaici, ai dipinti.

All'inizio di questa storia c'è un uomo seduto su una poltrona nel salotto buono di una casa. Come direbbe il poeta Giorgio Caproni, a prima vista egli sembra un uomo solo, davanti al vuoto, coi suoi torti, le sue ragioni, pronto a parlare di eventi finiti, simili a foglie galleggianti sulla palude del passato. Ma ecco, il pensiero miracolosamente si materializza, anzi si personifica. Appare la casa in cui si è vissuti, la natura che ci ha circondati, la donna che si è amata, il Dio in cui si è creduto. Tutto questo è un po' come l'antefatto della storia ed è tutto concentrato in quello stupendo compendio simbolico che è la scultura Ricordi del 1975.

Quel pensiero contiene, quindi, tutta la storia di una vita in cui tutti ci possiamo specchiare, una vita che è spesso simile ad un tunnel oscuro il quale, però, non approda all'estuario del nulla ma ad un germoglio che fiorisce, come ci insegna un altro bronzo, Il cilindro. È un aggirarci tra rovine e grovigli ma non da soli, con qualche altra presenza. Soprattutto con la Presenza per eccellenza, quella dell'infinito, del divino, del mistero che Ceppi rappresenta con un simbolo che diviene quasi la sua firma, la sua sigla spirituale ed artistica: la scala. Essa appare già nell'opera citata Ricordi ma affiora ininterrottamente: Scaffale del poeta, Sogno, Colloquio, Conchiglie, Nel mistero della pienezza del tempo, Omaggio al Card. Mindszenty etc. Sono proprio quelle “Scale di luce” che lo scrittore francese B. Cendras aveva usato come simbolo per definire l'arte di un altro, celebre pittore,Marc Chagall.

Giacobbe fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa”. Questo passo della storia del patriarca Giacobbe, narrato dal libro della Genesi (28,12), potrebbe essere la matrice ideale di quella “firma” di Ceppi.

Le sue scale, infatti, sono, si, poggiate sulla terra, ancorate al quotidiano, ma non hanno un approdo visibile, si perdono nei cieli, nella luce o si protendono verso una nube misteriosa. E l'angelo, che è il segno di questo infinito divino, appare ripetutamente anche nel racconto di Ceppi. Ora è un angelo imprigionato Tra le rovine, ora è libero e sospeso nelle terrecotte, negli smalti e nelle tempere, ora è lacerato e trafitto perché evoca il mistero del bene e del male che è in noi per cui l'angelo può trasformarsi in satana, senza però mai perdere le ali dell'infinito.


Ma, seguiamo ancora le “riflessioni” di quell'uomo seduto a meditare. Continuiamo a vederne la loro concretizzazione, il loro farsi realtà e storia. La prima “incarnazione” è quella della creazione, una vera e propria teofania che Ceppi rappresenta con un trionfo di colori, quasi come se fosse un'Esplosione cosmica, affidata talvolta anche alla magia e alla trasparenza del vetro. Una creazione che conosce, come si è detto, il rischio supremo della libertà: “Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà”. Sono le parole di un sapiente dell'Antico Testamento, il Siracide (15,17); esse si coniugano con quelle di Paolo nel c.7 del suo capolavoro teologico, la Lettera ai Romani, e tracciano il ritratto dell'uomo diviso tra il bene e il male. E il bene e il male è appunto il titolo della scultura dell'angelo trafitto e diviso che è in noi che abbiamo sopra evocato.

All'orizzonte della creazione appare, però, la luce sorprendente dell'amore. È questa quasi la seconda tappa della parabola narrata da Ceppi. L'uomo di tutti i tempi e di tutte le regioni del nostro pianeta si sveglia, come Adamo, dal suo torpore ed ecco, davanti a Lui, la sua donna, “carne della sua carne, osso delle sue ossa”, come dice la Genesi. Essa ha il volto dell'incantevole donna del Sorriso che sembra essere quasi la donna del Cantico dei Cantici: “Come sei affascinante, mia amata, come sei affascinante! Gli occhi tuoi sono colombe, dietro il tuo velo; le tue chiome come un gregge di capre... Come un nastro di porpora le tue labbra e la tua bocca è soffusa di grazia; come spicchio di melagrana la tua gota attraverso il tuo velo” (4,1-3). E il Cantico dei Cantici sembra essere quasi la filigrana di questa fase della storia di Ceppi.

Nel Bosco di agapantus sembra, infatti, di intravedere la stanza nuziale cosmica celebrata dal Cantico: “Il nostro letto è verdeggiante, i cedri sono come le colonne della nostra casa, i cipressi il nostro soffitto” (1,16-17). Al melograno, simbolo di fecondità e di tenerezza del Cantico, Ceppi sostituisce la più semplice ma simbolicamente identica pannocchia. Ma come nel Cantico, sul letto dell'amore umano è sempre accesa la lampada dell'Amore divino (Sopra di noi) e, come nel Cantico, anche qui l'amore sfida la morte, il nulla e il caos perché sa di essere iscritto nel “libro di vita” di Dio: “Forte come la Morte è Amore... Le sue vampe sono fiamme di fuoco, una fiamma del Signore! Le grandi acque non possono spegnere l'amore né le fiumane travolgerlo” (8,6-7).


Paul Klee, celebre pittore svizzero, scriveva: “L'arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile ciò che non lo è”. La storia di Ceppi vuole ora rendere visibile il mistero invisibile della fede, entrando nella Chiesa. Ecco davanti a noi un bellissimo portale che sta per essere spalancato. Il suo legno, caldo e semplice, ci parla di una casa antica ed accogliente; le sue terracotte sono la nostra rappresentazione di essere tratti dalla polvere della terra, costruiti come “tende d'argilla” (Giobbe 4,19); i chiodi di quella porta sono fatti di quel ferro aspro che segna la nostra vicenda quotidiana, ma l'albero che si stampa su quei battenti e gli anelli trinitari che li dominano dall'alto sono di bronzo e ci parlano dell'eterno, proprio come i piedi del Cristo dell'Apocalisse che “aveva l'aspetto del bronzo splendente purificato nel crogiolo” (1,15).

Spalancato il portale ecco il Cristo che ci accoglie con la sua presenza e con tutti i segni sacramentali delle chiese che finora Ceppi ha ornato con la sua arte: dal fonte battesimale all'altare al tabernacolo. È qui, nell'interno del tempio, dell'invisibile fatto visibile, nel cuore dell'eterno incastonato nel tempo che l'uomo legge la Bibbia cristiana. Cinque sono le pagine che si animano e si illuminano. Il citato pittore ebreo russo-francese Marc Chagall, quando decise di far diventare la Bibbia uno dei temi fondamentali della sua pittura si recò in Israele, la terra della Bibbia. “Non molto tempo fa – egli scrisse – sono andato a Gerusalemme per ispirarmi e per verificare lo spirito biblico ma è a Parigi che sono venuto per fare la mia Bibbia”. È nella propria città, nei rumori, nelle miserie e negli splendori del quotidiano che la Bibbia deve rinascere ed incarnarsi. Anche per Ceppi le cinque pagine si colorano e si animano nella quotidianità: così, ad esempio, il sangue di Cristo nella passione e nella crocifissione si effonde e coinvolge anche il sangue dei donatori dell'AVIS per i quali egli ha preparato un altare. Oppure quella stessa passione si allarga anche nella figura del card. Mindszenty, emblema della sofferenza del popolo di Dio. L'annunciazione a Maria si trasforma anche nella speranza che la donna rappresenta nel mondo; la natività di Cristo si esprime e si incarna nella nobiltà della vetrata e del mosaico ma anche nella povertà del legno e della terracotta.

Il pane dell'eucarestia è il polo di attrazione attorno a cui, come in un vortice, si annodano tutti i colori dell'essere e della vita in un incantevole caleidoscopio.

Ma è con la pagina finale della Risurrezione che si condensa non solo tutta l'attesa umana ma anche tutta la Rivelazione biblica. Nei vari pannelli di terracotta, quasi come in una corolla di immagini, sfilano Giona “risorto” dal pesce, Ezechiele con la sua impressionante visione degli scheletri che risorgono (c.37), Isaia col suo annunzio che “di nuovo vivranno i morti, risorgeranno i cadaveri, si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nella polvere perché la tua rugiada è rugiada luminosa e la terra darà alla luce le ombre” (26,19). Passa ora davanti a noi anche Daniele con la sua promessa che “quelli che dormono nella polvere della terra si sveglieranno e i sapienti risplenderanno come lo splendore del firmamento” (12,2-3). Passa Giobbe con la certezza che “il mio Vendicatore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere; dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno non da straniero” (19,25-27). Sfilano Lazzaro, la figlia di Giairo, la Maddalena, i discepoli di Emmaus, gli apostoli sul lago di Tiberiade con gli occhi stupiti davanti al Cristo risorto...


Si chiude qui, in questo orizzonte di luce, la parabola scaturita dalle “riflessioni” di quell'uomo seduto che Ceppi ha posto in apertura alla sua mostra e i cui pensieri ha fatto diventare personaggi, attori, realtà vive. Ma per seguire questa storia che ora abbiamo raccontato è necessario scoprire un'atmosfera, quella in cui Ceppi ha immerso il suo racconto di arte e di vita. È un'atmosfera “santa” che rimanda continuamente all'infinito, oltre il limite degli oggetti; è con questa atmosfera che le singole opere diventano segni di un mistero ulteriore.

Pavel Florenskij, il “Leonardo da Vinci” russo del '900, grande matematico, filosofo e teologo, descriveva suggestivamente questa atmosfera a proposito delle icone, la tipica espressione dell'arte russa. Abbandonate alla piattezza di un museo, esse si spengono e sembrano opere seriale persino fredde; messe invece in un tempio ed avvolte dal tremolio dei ceri e dalle volute degli incensi e dei canti si trasfigurano. “L'oro barbaro e pesante delle icone - scriveva Florenskij- in sé futile alla luce del giorno, si anima con la luce tremolante di una lampada o di una candela facendo presentire altre luci non terresti che riempiono lo spazio celeste”. È questa l'atmosfera, è questo lo “sguardo” che noi auguriamo anche alle opere di Alberto Ceppi.»




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Maria Luisa Gengaro

Milano settembre 1978

«Per un artista, e in particolare per un artista di oggi, è senza dubbio significativo dimostrare una rigorosa coerenza tra la propria formazione accademica e la propria altrettanto espressione originale.
Alberto Ceppi, uscito dall'Accademia di Brera quando ancora prevalevano le due scuole di scultura facenti capo a Giacomo Manzù e a Francesco Messina ne indica, soprattutto nelle opere iniziali realizzate appena uscito dall'Accademia, le diverse direttrici nei confronti della interpretazione della realtà, quasi tendendo ad una sintesi delle due distinte soluzioni: il che risulta particolarmente evidente soprattutto nei disegni. Ma subito, negli anni immediatamente successivi, si delinea una individuale ricerca di interpretazione della realtà, soprattutto per una ricerca simbolica che si innesta nel pieno riconoscimento del valore della natura. E tale simbologia si vale soprattutto della inserzione di elementi naturalistici  a contatto con motivi figurativi, questi in rapporto anche alla adozione di numerosi temi sacri, oltre alla insistenza in un modello scabro, torturato, ma sempre saldamente plastico. E qui forse affiora maggiormente la scuola di Manzù piuttosto che quella di Messina: ne è testimonianza anche il dedicarsi, da parte di Alberto Ceppi, non soltanto alla scultura ma anche alla pittura. Ci riferiamo in particolare ai bronzi dell'Annunciazione del 1974, alla Natività e alla Fuga in Egitto del 1975, fino al Cristo Deposto del 1977.
Si tratta quindi, di un artista dalle notevoli possibilità espressive, dal quale è dato attendersi ulteriori interessanti affermazioni.»



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Dino Villani

“Linea Grafica” - anno XXIX n.1 – gennaio -febbraio 1975

«[…] La scultura di Ceppi esercita un forte potere suggestivo perché esprime dei simboli che sono stati resi in modo fantastico e quindi colpiscono immediatamente e restano bene impressi.
La realtà degli elementi esce trasfigurata da un'interpretazione che lascia pensare allo spettacolo del creato che deve essersi presentato nei particolari a Noè, dopo il Diluvio. Le cose gli debbono essere apparse come fossilizzate mentre erano soltanto coperte dal limo seccatosi al sole: monumenti sepolcrali di quello che erano stati in rigoglio: costruzioni splendide, alberi lussureggianti, oggetti leggiadri, fuori della realtà consueta, nella esaltazione del ricordo.
È un mondo spento, quello che cerca di proporre Ceppi, rigenerandolo con un sottile senso interpretativo, condito da un pizzico di poetico fantarealismo, che lascia presagire la immancabile resurrezione, perché la vita non può finire.
Ma è necessario tracciare anche un sia pur breve profilo di questo artista seriamente impegnato ad esprimere quel che sente dopo di aver ben assimilato quello che gli ha suscitato sensazioni.
Diplomatosi brillantemente a Brera sotto la guida di Messina; con una tesi sul poliedrico artista Umberto Milani (al quale forse si sente vicino con lo spirito) ha macerato la sua preparazione, come dimostrano i tormentati numerosi disegni nei quali la ricerca per approfondire i contenuti e per catturare la forma nella sua essenza, si associano ad una resa lirica dell'immagine che porta poi alla realizzazione di una scultura nella quale la materia assume una consistenza che potremmo dire quasi esclusivamente spirituale. Disegni, dipinti e sculture hanno non soltanto dei tratti perfettamente coerenti e comuni, ma mostrano di essere le tappe di un medesimo discorso iniziato col tratto tremulo ed aereo del disegno, oppure maggior consistenza con la materia cromatica che accenna ai volumi dei dipinti, per poi sfociare nella realizzazione dell'immagine a tutto tondo, con una materia plastica fremente tanto da lasciar sentire il movimento.
A questo risultato l'artista è arrivato a tappe, sia pure soffermandosi alle varie stazioni per cogliere successi e riconoscimenti, come è avvenuto per esempio con la realizzazione del Battistero  e della Via Crucis e col paliotto della chiesa di Cimnago o per il crocifisso in bronzo alto due metri e venti per Nostra Signora di Fatima, la chiesa di Meda.
Del resto la maturazione è stata rapida poiché si può dire che ha cominciato a produrre per l'esterno e ad esporre nel 1971 e cioè appena dopo aver lasciato Brera (dove è tornato poi per essere anche attualmente insegnante a quel Liceo Artistico): è stata rapida perché egli si è impegnato a fondo e non si è accontentato dei successi ottenuti quasi subito e d'improvviso, ma ha saputo porsi una meta che continua ad allontanarsi a mano a mano che egli, con una decisa caparbia volontà, arriva ad avvicinarcisi od a sfiorarla. Ceppi ha quindi, insieme con le doti naturali che traspaiono evidenti, anche la tempra dell'artista che vuole andare lontano senza arrampicarsi ma conquistando passo passo la propria posizione stringendo i denti e lavorando con un impegno sempre più convinto.»



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S.E. Card. Angelo Comastri

Già Vescovo di Massa Marittima (GR) – 1993

«Le vetrate di Alberto Ceppi esprimono esprimono un'arte di delicatezza rarissima, nella quale la storia si fonde mirabilmente con la natura e diventa un messaggio sussurrato eppure ben percepibile dall'anima che guarda e ammira: qui lo sguardo diventa facilmente preghiera.»


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Carlo Fumagalli

da IL CITTADINO – Scultori nei giardini – XXX M.I.A. - Monza – Villa Reale – 18 settembre 1975

« […] Ma forse, fra gli scultori di figura, merita un discorso particolare Ceppi. Quello che presenta, è qualcosa come una novella; un filosofo accampato in una cornice settecentesca del tutto squallida e in rovina. Si sente l'usura del tempo; e vive nella scena un certo elegismo, una tristezza accorata e quasi una meraviglia che il mondo vada in briciole e che l'architettura d'uomo sia, qui e là insidiata da un genere di vegetazione spontanea, da una specie di ritorno alla natura selvatica e primitiva.
L'artista ha merito per questi suoi modi narrativi. Se poi il suo racconto intenda alludere al pericolo che sovrasta l'uomo che è quello di un ritorno all'età della pietra, non è possibile dire. La sua scena ha più di tristezza che di spavento. Ha un senso di malinconia immemore: il che vuol dire che conosce i ritmi che superano il breve cerchio della vita mondana e che si vive un poco l'aria dell'aldilà.»



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Pasquale Colacitti

Dalla presentazione in catalogo – personale 1971 – Biblioteca Civica di Saronno (MI)

«[…] “una nuova spiritualità dell'arte ”. Ceppi parte da tale convinzione, assimilando le lezioni di Alexander Calder, e Milani da una parte e di Alberto Giacometti dall'altra ma senza imitarli, bensì cercando un suo modo di esprimersi e inserendo una personale visione ottimistica dell'uomo. L'uomo per Ceppi non è uno sfasciume di carne, un materialista chiuso nel cerchio di un egocentrismo distruttivo, ma è una creatura che sa amare il suo simile e la sua natura, che sa aprirsi alla comprensione del mondo.
Questa sua nota ottimistica nella quasi universale visione tragica del mondo di sapore baconiano, si inserisce nelle poche voci degli artisti che credono ancora nell'uomo nato per amare e capire gli altri.
[...] Ceppi parte sempre dalla realtà anche quando le sue forme ritmiche, dinamiche, astratte eseguite in rete metallica e plastica, in gesso, in terracotta e in ferro si aprono nello spazio e si concretano negli elementi essenziali della scultura: la plasticità con le varie dimensioni. Il giovane scultore però non resta insensibile agli aspetti drammatici dell'uomo contemporaneo come si può osservare nelle opere “esplosioni” e “frammenti”. Egli non fa parte dello stuolo numerosi dei tanti improvvisatori che cercano di ingannare il prossimo con trovate alla moda, ignorando come si modella un dito in modo figurativo, ma di quei pochi giovani scultori impegnati in una ricerca personale dopo aver compiuto con il massimo profitto studi sull'arte figurativa.
Sono certo della sua futura affermazione «personale» e del suo inserimento tra i nomi che contino perché possiede le tre qualità necessarie: il talento, la volontà, una chiara visione critica, tutti elementi indispensabili per costruirsi un mondo personale nel campo dell'arte.»



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Dom. Giorgio Picasso

da “L'OSSERVATORE ROMANO” anno CXVIII n. 254 (2-3 Novembre 1978)

«[…] Ma la Brianza è terra dove, per grazia di Dio, si sa ancora pregare.
Così il Ceppi, per essere fedele al compito d'ogni autentico artista che è quello di farsi interprete degli ideali del suo tempo, si è ben presto avvicinato a quella forma di arte che, giustamente, il Concilio pone al vertice dell'espressione artistica: l'arte religiosa o meglio, l'arte sacra.

... Tuttavia l'espressione migliore dello scultore Ceppi rimane il grande “Cristo Morto”, preparato per la Chiesa Collegiata di Seregno nella primavera del 1977. Di quest'opera ci pare giusto far qui esplicito riferimento, perché dice nello stesso tempo la capacità espressiva del giovane artista, la sua sensibilità al mistero cristiano e nello stesso tempo la perfetta sintonia con le più autentiche espressioni della pietà popolare cristiana...»



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Mario Marzocchi

da IL TELEGRAFO – anno 99 – n. 231 – pag 5 – 4 ottobre 1975

« […] le opere di Ceppi rivelano un modo inequivocabile alla prima lettura la solidità di una preparazione condotta sui modelli di un Messina (di cui del resto fu allievo prediletto); di un Milani (scelto per la sua tesi all'Accademia di Brera), di un Giacometti; ma se la lezione dei maestri gli è valsa per approfondire lo studio delle forme e raggiungere effetti plastici efficaci, si deve alla bruciante ansia del suo spirito la ricerca di un simbolismo capace di affermare con assoluta chiarezza quella che, in ultima analisi, è la chiave di ogni sua opera attuale: l'elevazione dell'uomo ad altezze divinizzanti in virtù della sua terrena sofferenza.

L'albero, motivo ricorrente, rappresenta, nelle intenzioni dell'artista, la vita; la scala, che ritroviamo si può dire in tutte le opere, sta a significare la volontà redentrice delle creature smarrite nel buio del peccato; e intorno a questi elementi base di un ragionamento costruito su presupposti di speranza e di fede, Alberto Ceppi inventa le sue figure, filtrando sentimenti ed emozioni attraverso il setaccio di un mestiere raffinato e valido.»



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Letizia Maderna

Seveso, Epifania 1989

« […] certi suoi bassorilievi rivelano antiche assonanze con l'Impressionismo Lombardo di Medardo e con quello Francese di Rodin, entrambi riletti con personale  moderna sensibilità. Evidenti anche alcuni influssi della statuaria di Nardo Paiella, amato maestro.
Nell'evolversi della sua espressività plastica, merita attenzione la linearità essenziale di mote recenti pregevolissimi disegni e sculture; sono linee prevalenti asciutte, scavate, ricorrenti, quasi mai tondeggianti, brevi, con l'essenzialità quasi dei Primitivi cui spesso richiamano, e segnano indiscussamente la mano del migliore Ceppi e ne fanno un forte artista sicuramente moderno e completo.  Il rinascimentale amore per la natura è trasfigurato, attraverso un intimismo di sapore tutto lombardo, in una visione cristiana di rispetto per la Vita e per la Natura, sublimato quasi nelle varie maternità e nella serenità dei ritratti fissati e trasfigurati.
L'arte e la scultura di Alberto Ceppi si collocano degnamente nel vasto filone moderno dell'estetica Neo-umanistica cristiana nella cristiana certezza della resurrezione.»



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Mons. Luigi Gandini

da “Terra Ambrosiana” - Diocesi di Milano – anno XBIII n. 6-7 (giugno-luglio 77)

«... Questa scultura [“Cristo morto” - Basilica - Seregno] fa risentire un soffio di Rinascimento! Del Rinascimento riecheggia soprattutto il bisogno della sintesi, il bisogno cioè di unificare le singole realtà, rapportandole nell'Unica realtà. Unificazione questa volta realizzata dalla ispirazione religiosa, che nella fede nella Morte di Cristo raccoglie, ordinati da una ricchissima fantasia, i molteplici valori della ragione, della natura, della vita.
La serenità rinascimentale qui prorompe dal paradossale messaggio della fede nella Morte che da la Vita! Dinnanzi a questo bronzo vien da ripensare alla lezione soprattutto di due maestri di quel periodo: Mantegna e Donatello.
Mantegna, riascoltato qui nel suo messaggio di gioiosa ed esuberante fantasia, contenuta entro i limiti di uno stupito rispettoso realismo senza concessioni manieristiche o decorative.
Donatello, la cui spregiudicata posizione spirituale di fronte alla nuova civiltà e la cui capacità di tradurla sempre nella sua “forma espressiva”, fanno da guida nella lettura di questo sapiente modellato e nella comprensione di questo gusto moderno (che non impedisce però di pensare a Bonanno Pisano) nel trattare la materia, il bronzo, serbando sempre il rispetto dei valori fondamentali che sono nell'animo del popolo, dal quale viene l'artista, e al quale annuncia con certezza la sua speranza nell'Umanesimo Totale, cioè cristiano.»



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Franco Cajani

da “Brianza Piccola Patria” Ed. Arte Desio – 1975

« […] La figurazione donatelliana latente nelle composizioni rammostra decisamente la scuola di Francesco Messina – di cui fu allievo all'Accademia di Brera – con punte di un forte ed incisivo surrealismo fantastico che richiama taluni modelli della pop art statunitense. Ovviamente in questi frangenti la determinazione dei messaggi non può essere estroversa dall'ammontare delle attività esistenziali a cui voracemente Ceppi attinge, ma dall'aumento delle tensioni sociali determinate dalla nostra epoca. I fuochi figurativi concentrati in immagini complesse, dove la natura prende il sopravvento, sono istanze palesi, atte a smuovere un discorso ecologico esuberante che, anche se urlato, si è purtroppo raggelato e rarefatto nel senso primitivo e più proprio.
La scala a pioli – modulo ricorrente nelle composizioni – è sinonimo di quel desiderio represso  frenato, di quell'anelito al primordiale che sta nel subconscio umano.»



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Don Stanislao Brivio

da “Avvenire” 30 dicembre 1978 – anno XI – n. 364

« […] È un'interpretazione originale del significato della natività e continua la tradizione lombarda della scultura in cotto, che ebbe l'avvio con i grandi maestri del '300. L'opera vuole essere una proposta alla devozione cristiana, perché legga nel presepio quegli elementi essenziali e perenni che affondano le loro radici nel Vangelo lucano, custode poetico dell'infanzia e della mansuetudine di Cristo, e nell'amore rispettoso e infuocato del poverello d'Assisi che lo rivisse con l'umile gente di Greggio...
Il presepio-scultura continua l'essenzialità di “quell'evento”: tre semplici statue (i protagonisti della cascita), materiali tra i più umili (legno e terra), perché la lettura sia a tutti comprensibile.
Tutti devono poter leggere in un'opera sacra il suo significato con chiarezza e immediatezza, per potere poi, come Francesco d'Assisi, prolungare personalmente la meditazione in una coerente testimonianza di vita...
L'opera non è fine a se stessa, ma vuole aiutare tutti a rivivere il fatto che rappresenta.
L'artista e scultore Ceppi, con le sue opere, arricchisce spiritualmente e culturalmente la sensibilità di chi s'avvicina ad esse, non prevenuto, ma con la spogliazione umile e feconda di Betlemme...»



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Mario Chiappini

Erba, dicembre 1980

« […] Realtà e utopia
Il Ceppi crede in questa possibilità e la propone in pregevoli forme d'arte.
La realtà è ben presente nella sua opera e si direbbe che è proprio essa nella sua presenza peggiore a spingerlo alle contrapposizioni rappresentative, che, nel loro movimento, dinamismo, non vogliono essere solo estetiche, ma anche propositive di una diversa qualità di vita, la sia proposta di una diversa qualità di vita la realizza con stupende creazioni pittoriche e scultoree librate tra realtà, sogno e speranza utopica. La struttura bloccata, il simbolo della scala o dell'albero mostrano un cosciente e preciso orientamento, un'aspirazione ad ascendere, un appello all'evoluzione e non all'involuzione esistenziale dell'essere umano. Così è nella grande composizione scultorea dove passato e presente si rinviano, nelle composizioni con strutture di cristallo in cui la storia è letta nel suo farsi, nella statua del vescovo a struttura bloccata, nelle figure dentro un corpo cilindrico, nelle composizioni con scala o albero alla base della composizione o in alto, quali termini della vita umana e trascesa. Tutto qui è meditazione esistenziale, desiderio costante di una diversa qualità di vita espresso nei simboli dell'incontro, della scala, dell'albero e tutto inoltre è raffigurazione altamente estetica. Le idee in Ceppi mai resistono a lasciarsi trasformare in espressione, realizzazione artistica.»



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Cesarina Ferrari Ronzoni

da “Icone mariane di ieri e di oggi sui muri delle nostre case” - Edito dal Comune di Meda
L'icona della Colombera

« […] Con Alberto Ceppi la scultura in terracotta, da tecnica duttile e di piacevole effetto, diventa mezzo di espressione personale. In questa poderosa robbiana policroma, che si impone per la “povertà spoglia” d'inutili orpelli e per la “grazia spontanea”, gli alberi della brughiera “articolati secondo morbidi passaggi in chiaroscuro, in equilibrate rispondenze di ritmi plastici”, sembrano modellare e fissare un canto sempre uguale di perenne dolcezza: l'artista si compiace di effetti pittorici giocando su un brillante cromatismo e moltiplicando gli elementi descrittivi.
Ma il sistema decorativo tecnicamente perfetto, “legando gli elementi plastici e cromatici in una sintesi di costante qualità artistica”, nello stesso tempo sa creare la cupa simbologia della “selva oscura” in cui, come per Dante, così anche per Aimo e Vermondo “la diritta via era smarrita”.
[…] Gli anni trascorsi alla scuola di Messina e di Manzù e l'ispirarsi ai grandi maestri. dell'Umanesimo e del Rinascimento hanno trasmesso al Ceppi “il gusto per un classicismo edonistico d'impronta medievale” verificabile in quest'icona, “ma la castità delle forme e di accenti con cui egli lo interpreta va a toccare piuttosto il clima dell'Angelico: così come certa gravità delle sue figure parte da Nanni di Banco e si anima di drammatico gotismo alla Jacopo della Quercia... Ma il peso plastico delle figure stesse, la loro nobile “ponderatio” è ben dentro il cuore del Rinascimento  e ci dice che... Michelangelo, Brunelleschi, Donatello e persino Piero della Francesca sono presenti all'artista e non solo Luca della Robbia.»



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Don Giovanni Tremolada

Cappellano Aeroporto di Linate - da “Linate Flash”

« […] Le sue opere, oltre a rivelare una grande e piacevole originalità, contengono concetti teologici e messaggi forti e chiari.
Il tabernacolo ecumenica invece è un “Compendio di storia della salvezza”, in quanto illustra la frase del Prologo di San Giovanni: “ Il verbo era la luce e la luce era la vita degli uomini” che alcuni hanno accolto e altri hanno rifiutato. […]
Entrambe le opere esaltano la Persona di Gesù come unico redentore dell'uomo e di tutti gli uomini.
[…] Sulle pareti laterali della Cappella sono collocati, in forma simbolica, i 20 Misteri del S. Rosario, a rappresentare le 20 tappe del cammino terreno di Gesù e la partecipazione all'opera della Redenzione.»



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Carla Maria Colombo

Dal catalogo di Alberto Ceppi

« […] e anche nella scultura di Alberto Ceppi scorre sottinteso il filo rosso di un messaggio atto a scuoterci dalle quotidiane certezze della nostra cultura: quegli alberelli irti e scheletrici, messi a nudo nella loro estenuante scabrosità, ricostruiti,  non senza qualche violenza, come il laboratorio sono lì ad avvertire l'uomo della sua fragilità e del suo quotidiano soffrire.
Ma un lucido frutto della natura, un dolcissimo profilo femminile, una scala che sale alta verso il cielo sono altrettanti segni, imprevedibili rinvii verso una più ampia dimensione.
Perché nel nostro presente, per tanti versi così distratto e disincantato, si proietti il respiro e la luce dell'arte.»



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Stefano Gattei

« […] Ogni artista espone in una mostra il proprio percorso emotivo fino a quel momento. Ma è una fotografia sfuocata, poiché l'emozione non si fa facilmente fissare: la vita è “ scettica”, nel senso  greco sképsis, ricerca. Ed è una ricerca senza fine, continua tensione verso la certezza per il credente e curiosità di un ignoto mai completamente raggiungibile per chi non crede.
L'uomo è per natura portato ad interpretare un viaggio oltre le colonne d'Ercole del quotidiano, “per seguire virtute e canoscenza”. Non sempre il viaggio ha successo. Ma la soddisfazione, se non nel raggiungimento dell'obiettivo, risiede almeno nel salire qualche gradino: nella “ricerca continua, persistente e inquieta della verità” (sono le parole di un laico, Karl Popper). E quella di Alberto Ceppi è una ricerca personale e coinvolgente, pur velata di certezza, del divino e dell'uomo. Di un uomo come Sisifo, però (diversamente da quello di Camus), che nell'incessante lotta con i problemi può essere felice.»



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Prof. ALBERTO CEPPI - Pittore/ Scultore
Via Galilei 2 - 20821 Meda (MB) - Tel/fax: 0362 72560 - E-Mail: studio@albertoceppi.com